Il presente contributo mira a commentare la pronuncia Cass. 22 ottobre 2012 n. 41191 , secondo la quale il datore di lavoro che non fornisce un’adeguata formazione sul funzionamento dei macchinari aziendali risponde penalmente per le gravi lesioni subite dal lavoratore.
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Decisum
Con la pronuncia in questione, la S.C. in particolare statuisce che nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sull’imprenditore risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità.
Inoltre, per la Cassazione, può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore in- fortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento.
Per tale rigorosa pronuncia, deve considerarsi abnorme solo il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro.
L’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può costituire esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica.
Nella fattispecie, al datore viene imputato il reato di cui all’art. 590 cod. pen., per avere colposamente cagionato lesioni gravi alla lavoratrice, adibendola all’utilizzo di una macchina sega ossi, senza effettuare una adeguata formazione della dipendente riguardante i dispositivi di sicurezza.
La Corte d’Appello considerava poi che la dinamica del fatto risultava pacificamente accertata, nei seguenti termini: la lavoratrice durante le operazioni di taglio di alcune bistecche, aveva urtato, con il secondo dito della mano sinistra, la lama in movimento, riportando le refertate lesioni; ciò in quanto, prima di iniziare l’operazione, l’addetta non aveva regolato il listello di protezione della lama.
Il Collegio osservava che l’infortunio sarebbe stato evitabile con l’impiego corretto dei dispositivi di protezione presenti sulla macchina sega ossi di cui si tratta, evidenziando al contempo che il corso di formazione organizzato dall’ipermercato aveva avuto una durata inferiore a quella prevista; e che, in particolare, non era stata data la formazione specifica, relativa al corretto utilizzo della macchina sega ossi.
Inoltre, sempre sul piano fattuale, erano risultati anche questi ulteriori elementi:
– altri dipendenti, colleghi della lavoratrice infortunata, avevano utilizzato la macchina sega ossa senza usare i dispositivi di sicurezza;
– nessuno degli addetti era mai stato richiamato, per l’utilizzo non corretto della macchina segatrice;
– la contestazione concerneva la mancata formazione della dipendente riguardo sia alla formazione teorica sia alla formazione pratica.
Ciò, potremmo osservare, a dimostrare il carattere sistematico e non episodico della vicenda e della lacunosità del profilo formativo del rapporto di lavoro concretamente interessato.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce il difetto motivazionale ed il travisamento delle risultanze istruttorie.
Tesi del datore di lavoro
Il datore di lavoro ha evidenziato in giudizio che:
– l’infortunio della lavoratrice si sarebbe verificato per il comportamento abnorme della lavoratrice;
– la lavoratrice ha ammesso, nel corso della istruttoria, di avere svolto attività lavorati- va, nel medesimo periodo in cui era addetta al reparto macelleria della sua azienda, anche in orario notturno presso uno stabilimento balneare;
– la lavoratrice non avrebbe recepito le informazioni fornite dal datore di lavoro ai nuovi assunti, a causa della detta circostanza;
– l’infortunio occorsole sarebbe stato causato, in realtà, dal fatto che la lavoratrice non aveva prestato adeguata attenzione alle direttive imposte al riguardo dal datore e dalla conseguente utilizzazione impropria della macchina sega ossa, dovendo inoltre considerare che la medesima non sarebbe stata neanche in grado, nel corso del giudizio, di ricostruire le modalità dell’infortunio occorsole;
– se egli avesse saputo del lavoro notturno svolto dalla infortunata, non avrebbe adibito quest’ultima al reparto macelleria.
Iter logico-giuridico della pronuncia
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal datore di lavoro, affermando la manifesta infondatezza delle doglianze presentate.
La Suprema Corte, in particolare, si sofferma su alcune questioni processuali collegate ad eccezioni invocate dal datore di lavoro:
1) riguardo alla questione del mancato rinnovo dell’istruttoria dibattimentale, la Su- prema Corte evidenzia che il vigente codice di rito pena- le pone una presunzione di completezza dell’istruttoria di appello, ha carattere eccezionale e può essere disposta unicamente nel caso in cui il giudice ritenga di non poter
decidere allo stato degli atti, e che solo la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificamente motivata;
2) riguardo all’eccezione di prescrizione del reato ex art. 590, cod. pen. attribuito al datore di lavoro, anche nella fattispecie va applicato il principio affermato dalla medesima Suprema Corte, nell’autorevole veste a Sezioni Unite (1), in base alla quale l’inammissibilità del ricorso per cassazione, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., e, nella specie, la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso in Cassazione.
In sintesi, il datore di lavoro non può beneficiare dell’effetto estintivo del reato di cui è stato accusato e per il quale è stato già giudicato responsabile quando esperisce in modo del tutto temerario il terzo grado di giudizio, quello destinato peraltro a vagliare i soli possibili visi di legittimità della sentenza di condanna ricevuta! Veniamo ora alla questione sostanziale, che è di rilievo preminente ai fini del presente contributo.
Inadeguato corso di formazione: responsabilità penale del datore
Il datore di lavoro ha conte- stato la sua responsabilità penale, eccependo che l’infortunio si sarebbe verificato a causa della condotta abnorme posta in essere dalla medesima lavoratrice.
Il Giudice di legittimità, nel ritenere inammissibile tale rilievo, ha evidenziato sotto l’aspetto processuale, al riguardando riprendendo le note Sezioni Unite, n. 6402/1997, che non rientra nei propri poteri quello di una ‘‘rilettura’’ degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezza- mento e` riservato in via esclusiva al giudice di merito.
Tuttavia, ciò che qui maggiormente interessa è che per la S.C., confermando sul punto la pronuncia della Corte di Appello – le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della possibile negligenza con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni.
Inoltre, per la Cassazione, la responsabilità del datore di lavoro può essere esclusa solo in presenza di un comportamento del lavoratore del tutto imprevedibile, tale da presentare i caratteri della eccezionalità rispetto al procedimento lavorativo.
Tale decisum è senz’altro apprezzabile perchè coerente con il necessario principio di favor per il lavoratore dal quale si deve ritenere permeato il nostro ordinamento giuridico, che si voglia definire effettivamente capace di garantire le parti socio-economicamente deboli dei rapporti di lavoro.
Precedenti giurisprudenziali
In passato, la Suprema Corte di Cassazione si è già pronunciata più volte e sulla questione della valenza da riconoscere alla condotta col-posa posta in essere dal lavoratore, quale possibile esimente rispetto alla responsa
bilita` penale del datore di la- voro, quale soggetto che ver- sa in posizione di garanzia. In particolare, i precedenti, con statuizioni analoghe a quella in commento, hanno sottolineato che:
1) nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sull’imprenditore risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si di- mostri imprudente o negligente verso la propria incolumità;
2) può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e, al contempo, risulti provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento;
3) più in particolare, può considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro;
4) l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i datori di lavoro e, più in generale, per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (2);
5) non può affermarsi che abbia caratteristiche abnormi il comportamento del lavoratore che – come nel caso di specie – abbia compiuto un’operazione rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli.
A tale regola si pone un’uni- ca eccezione, in coerente applicazione dei principi in tema di interruzione del nesso
c.p.), in presenza di un com- portamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile del lavoratore.
In tal caso, anche la condotta colposa del datore di lavoro che possa essere ritenuta antecedente remoto rispetto al- l’evento dannoso, essendo intervenuto un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile (e come tale inevitabile) del lavoratore, finisce con l’essere neutralizzata e privata di qualsivoglia rilevanza efficiente rispetto alla verificazione di un evento dannoso [l’infortunio], che, per l’effetto, è addebitabile material- mente e giuridicamente al lavoratore.
Ciò può verificarsi in presenza [solo] di comportamenti ‘‘abnormi’’ del lavoratore, come tali insuscettibili di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul luogo di lavoro.
In questa prospettiva, in linea con l’orientamento prevalente, si esclude che presenti le caratteristiche dell’abnormità il comportamento, pur im- prudente, del lavoratore, che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento lavorativo attribui- togli e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto. Ciò sulla base del l’osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore.
Va però ricordato anche quell’orientamento giurisprudenziale (3) che estende il concetto di ‘‘abnormità’’, ammettendo che questo possa ravvisarsi anche in situazioni e in comportamenti ‘‘connessi’’ con lo svolgimento delle mansioni lavorative.
Coerentemente con un orientamento giurisprudenziale più datato (4) ha precisato che il carattere dell’abnormità può essere attribuito non solo alla condotta tenuta in «un ambito estraneo alle mansioni» affidate al lavoratore. Pertanto, concettualmente al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro, ma anche a quella che pur «rientrando nelle mansioni proprie» del lavoratore sia consistita in qualcosa di radicalmente, ontologicamente lontano dalle pur ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore. Tesi che viene motivata con l’esigenza di evitare di porre a carico del datore di lavoro un addebito «di posizione», basato su una colpa fittizia del datore di lavoro e quindi su una sostanziale responsabilità oggettiva del medesimo.
Riflessioni conclusive
Tale pronuncia si inserisce nell’alveo normativo e giurisprudenziale, in base al quale il datore di lavoro è il garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei lavoratori nonchè dell’osservanza delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, anche in base al disposto di cui all’art. 2087 c.c.
E’ da sottolineare però che nella fattispecie il profilo più rilevante è quello peculiare dell’obbligo formativo del datore di lavoro verso il lavoratore, che attiene, ma non si identifica nè si sovrappone esattamente a quello più generico di informazione. Infatti, con la pronuncia in questione si va al di là del dovere del datore di «disclosure», ossia informazione dettagliata e trasparente riguardo a tutti gli aspetti contrattuali e in particolare rispetto agli aspetti delle mansioni affidate, dell’orario di lavoro da osservare o della retribuzione percepita oltre che sulle caratteristiche tecniche degli attrezzi e macchi- nari da utilizzare per espletare l’attività lavorativa.
Infatti, la S.C. pone l’accento e così valorizza, pur non expressim, un autonomo e rilevante obbligo di predisporre e far eseguire appositi corsi di formazione su determinati strumenti di lavoro, con inevitabile conseguente impegno di tempo e risorse umane e materiali, a beneficio del lavoratore incaricato di utilizzare quegli strumenti.
E quella in rilievo non è una qualunque generica ‘‘infarinatura’’ nè si lega a una mera lacuna di ‘‘asimmetria informativa’’, ma deve essere un’informazione tecnica specialistica.
Informazione siffatta da estrinsecarsi in un vero e proprio corso di formazione che, ben s’intende, deve essere tenuto da soggetti tecnicamente competenti nonchè esperti e deve protrarsi per un tempo sufficientemente lungo a garantire la realizzazione in concreto dell’obiettivo formativo perseguito. Tanto che possiamo dire che, rispetto a specifici strumenti necessari ad espletare le sue mansioni, il lavoratore dovrebbe poter pervenire a uno stato di conoscenze e di nozioni anche superiori a quelle del datore di lavoro per il quale le espleta.
Ciò a prescindere, potremmo dire, dal fatto che si tratta di strumenti potenzialmente pericolosi o meno, ma comunque esigendo, evidentemente, maggior rigore rispetto ai primi!
Il fine ultimo, evidentemente, non è tanto la massima efficienza della prestazione lavorativa nè il miglior risultato tecnico possibile ma la salvaguardia del sempre superiore diritto della persona-lavoratore a (mantenere) la sua integrità psicofisica, anche in occasione dell’esecuzione delle sue mansioni.
L’ottica del ‘‘diritto vivente’’, ossia del diritto giurisprudenziale, in questo senso, è chiaramente, peraltro senz’altro condivisibile (!), quella di una tutela rafforzata e di tipo preventivo rispetto a tali diritti del lavoratore.
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Sentenza Cassazione n.41191 22 ottobre 2012
Nota:
(1) Cass. sez. unite, sentenza 22 novembre 2000, dep. 21 dicembre 2000, n. 32
(2) Cfr. Cass. sez. 4, sentenza n. 8676, del 14 giu- gno 1996, dep. 24 settembre 1996, Rv. 206012; Cass., sez. 4, sentenza n. 3580 del 14 dicembre
1999, dep. 20 marzo .2000, Rv. 215686; Cass. sez. 4, sentenza n. 12115 del 3 giugno 1999, dep. 22 ottobre 1999, Rv. 214999.
(3) Di recente, Cass., sezione IV, 10 novembre 2010.
(4) Cfr. Cass., sezione IV, 3 giugno 2004.